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A(F)FONDO – Il dodicesimo uomo

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Il dodicesimo uomo in campo

Le partite di calcio, si sa, si giocano undici contro undici.

Per i profani, si tratta di undici uomini in mutande che rincorrono un pallone per contenderlo ad altri undici uomini in mutande.

Per i calciofili, si tratta invece di undici atleti che competono con altri undici atleti in una esaltante partita a scacchi tecnica e tattica.

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Insomma, in qualsiasi modo la si veda, le partite si giocano undici contro undici.

Eppure, il concetto di “dodicesimo uomo in campo” è storia del calcio.

Il dodicesimo uomo è fatto delle tifoserie organizzate: non quelle violente, criminali camuffati da tifosi, ma quelle che cantano dall’inizio alla fine della partita, che fanno fantastiche coreografie, che riempiono una gradinata al freddo e al gelo e seguono i loro beniamini ovunque.

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E il dodicesimo uomo in campo, per molti, gioca la sua partita ed incide sul risultato finale.

Io per primo invece, come tanti altri, consideravo questo concetto mero retaggio romantico del calcio che fu, e dubitavo, onestamente, che i cori ed il “folklore” potessero incidere realmente sul risultato; ma davanti all’evidenza mi sono dovuto ricredere.

Lo sciopero azzurro e il rientro allo stadio

Ha fatto molto rumore la decisione delle curve partenopee di disertare lo stadio, in segno di protesta per le sanzioni continue e severe che da alcuni mesi irrogava inesorabilmente la Questura.

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Ed ha destato ancor più scalpore coincidendo con un periodo estremamente negativo per la squadra, dall’ammutinamento dei calciatori al definitivo esonero di Ancelotti.

Non riesco ad andare allo stadio da un bel pò, ma tutti gli amici frequentatori delle curve parlavano di atmosfera irreale al San Paolo, addirittura surreale.

La società, in collaborazione con la Questura, aveva deciso per la tolleranza zero, e quindi da alcuni mesi piovevano DASPO, celebrati peraltro sui vari profili ufficiali di Twitter e Facebook, per tutta una serie di violazioni da sempre abbondantemente tollerate.

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Diciamocela tutta: alcune regole, quelle più strettamente collegate con la sicurezza, sono sacrosante. Giuste le multe se ci si mette a cavalcioni di una balaustra, se si intralciano le vie di fuga oppure si danneggiano i sediolini. Ma abnormi, invece, quelle per il mancato rispetto dei posti a sedere, per lo sventolamento prolungato dei bandieroni et similia.

Sembra, ad ogni modo, che il buon senso reciproco sia infine prevalso.  I “gruppi” sono rientrati allo stadio, pare siano più attenti a determinati comportamenti, e la Questura sembra essere tornata, verosimilmente anche per ragioni di ordine pubblico, tollerante.

Quanto contano le curve

Con il ritorno delle tifoserie organizzate, sono tornati anche i risultati.

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Ed ho dovuto ammettere che, evidentemente, la spinta del dodicesimo uomo è fisica, reale, e non soltanto una forzatura da vecchi romanticoni.

L’apporto materiale del tifo organizzato al risultato in campo, per quanto non stimabile con esattezza, è innegabile.

L’energia che sprigionano i cori e le coreografie si trasmette alla squadra, non c’è ombra di dubbio.

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Un patrimonio che va tutelato

Le tifoserie organizzate sono quindi un patrimonio da tutelare, non un nemico da scacciare.

Vanno “gestite” attraverso il buon senso.

Bisogna seguire la traccia ed il solco segnati, come sempre e manco a dirlo, dai maggiori campionati europei, Bundesliga in testa.

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Prevedere “standing zone” dove i tifosi possono vedere la partita in piedi, sventolare le loro bandiere serenamente, sedersi solo se e quando si vuole.

Creare palchetti da cui si possano “chiamare” i cori, favorire le coreografie (bellissime quelle di romanisti e laziali nell’ultimo derby).

Ed utilizzare il buon senso, come sembra si sia determinata a fare la Questura partenopea, certamente di concerto con la società.

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Anche perché senza i cori e il tifo urlato al cielo, diciamoci la verità, lo stadio perde tutta la sua magia.

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