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UN CALCIO AL SUPERSANTOS – Un arciere azzurro

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C’era volta una società del Sud che annoverava tra le propria fila il calciatore più forte di tutti i tempi, con un tricolore cucito sul petto.

Trent’anni più tardi, di quella squadra non esisteva più nulla. Fallita, cancellata dalla storia calcistica del Paese.

Parliamo, naturalmente, del Napoli.

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Nell’estate del 2004, però, Aurelio De Laurentiis decise di dar nuova linfa a quella compagine, ricostruendola dalla cenere.

Al primo allenamento non c’erano nemmeno i palloni. Pian piano però, quella formazione è rinata, come l’araba fenice.

Due anni nell’inferno della C, uno nel purgatorio della B, prima di risalire finalmente nel paradiso dei grandi.

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In quegli anni difficili, a caricarsi le sorti del Napoli fu soprattutto un calciatore, il suo bomber – simbolo: Emanuele Calaiò.

L’Arciere napoletano, coi suoi goal, rinvigorì i cuori dei tifosi azzurri, rimasti sopiti per troppo tempo a causa di gestioni societarie fallimentari ed amministrazioni disastrose. 

Mai soprannome fu più azzeccato: come Cupido con le sue frecce, il goleador palermitano faceva innamorare i suoi tifosi a suon di reti.

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Spesso, i guizzi di Manu toglievano le castagne del fuoco, risolvendo partite ingarbugliate; i suoi compagni riuscivano comunque ad ottenere i tre punti anche quando la squadra non si esprimeva al meglio.

Assieme al “Pampa” Sosa, costituiva una coppia complementare, capace di mettere in difficoltà parecchi avversari.

Sembrava un matrimonio idilliaco quello tra Napoli e il suo Arciere, eppure, con l’avvento della massima serie, il vento cambiò.

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I nuovi acquisti, la concorrenza, le difficoltà di una categoria a lui quasi sconosciuta, gli fecero avere poco spazio.

L’unico acuto con la maglia partenopea in Serie A fu una doppietta in trasferta, a Livorno, che regalò una vittoria di rimonta agli azzurri.

Quindi, giunse il momento di emigrare verso Siena, cittadina più tranquilla, provincia rassicurante da cui ripartire.

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Ma, come tutti gli amori che fanno giri immensi per poi ritornare, il figliol prodigo tornò a casa per essere di nuovo grande.

Il Napoli non era più la matricola terribile di quegli anni; era ormai diventata una solida realtà tornata a splendere, che lottava per contendere il potere alle grandi del Nord.

Il bomber della formazione partenopea non era più l’Arciere, bensì un Matador violento e spietato che faceva invidia a tutta Europa.

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Calaiò, a 31 anni, ricominciò all’ombra del Vesuvio.

È vero, non indossò più i panni dell’attore principale, ma si mise immediatamente a disposizione di mister Mazzarri, dando l’anima per la maglia e lavorando da professionista serio come ha sempre fatto.

Qualcuno storcerà il naso.

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Le minestre riscaldate non vengono viste di buon occhio e, nella maggior parte dei casi, si fa bene ad essere scettici. 

Ad esempio chi ha dimenticato il rovinoso ritorno di Shevchenko al Milan, dopo i gloriosi anni vissuti in rossonero e la sua cessione al Chelsea?

Oppure quello di Fabio Cannavaro alla Juventus, dopo il biennio vincente in bianconero e i tre anni spagnoli al Real Madrid, che tornò a Torino quand’era ormai sul viale del tramonto.

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Esistono anche le eccezioni però, come Robbie Fowler, ex idolo della Kop, che tredici anni dopo aver lasciato Anfield, ha collezionato nuovamente otto goal in trenta presenze, facendo sognare ancora i propri tifosi.

Anche Paolo Di Canio è stato il fautore della rinascita della sua Lazio, dopo averla lasciata per oltre un decennio.

Luca Toni, dopo tanto girovagare, ha riconquistato Firenze, siglando sei reti in tredici partite e ripetendo lo stesso gesto dell’orecchio tanto caro alla curva Fiesole già dalla prima volta.

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Al di là dei dubbi che può suscitare la questione del ritorno, molti supporters azzurri sono stati scontenti per altre ragioni. 

Diversi tifosi, infatti, si aspettavano un giocatore diverso, con altre caratteristiche, che potesse accrescere il bagaglio tecnico di un reparto offensivo già di per sé di altissimo livello.

Per altri invece, per i più nostalgici, non fu così. Perché oltre alle qualità tecniche, oltre ai dati anagrafici, esistono anche i sentimenti.

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I romantici non vedevano l’ora di veder nuove frecce azzurre scoccate all’indirizzo delle porte avversarie.

Anche se, in realtà, quel ritorno fu più una questione d’amore che tecnica. Pochissime presenze, praticamente mai dal primo minuto, e nessun gol.

Emanuele l’anno dopo, con l’arrivo di Benitez, di Higuain e Zapata, dovette ripartire e fu nuovamente provincia.

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Catania, Parma e infine Salerno, dove ha deciso di chiudere e di iniziare una nuova carriera da dirigente.

La verità è questa: Al Cuor Non si Comanda.

Grazie di tutto Emanuele; siciliano napoletano, napoletano siciliano.

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