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SPECIALE NUMERO 7 – Uno scugnizzo chiamato Pocho

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Era l’estate 2007, un caldo di pazzi e il Napoli era appena tornato in Serie A, dopo il fallimento e due anni in Serie C ed uno in Serie B. La squadra partenopea, guidata dal nuovo presidente Aurelio De Laurentiis, mancava dalla massima serie da 6 anni.

I supporters partenopei, tra i più passionali al mondo, avevano fame di grande calcio, volevano tornare ad urlare e cantare nei grandi stadi italiani ed europei e per questo aspettavano, trepidanti, l’inizio del calciomercato.

Quella finestra di mercato non iniziò granché bene. I tifosi attendevano giocatori come il ‘Chino’ Recoba o il barese Cassano, invece il 6 Luglio del 2007 Pier Paolo Marino, DG del Napoli di allora, si presentò con due giovani semi-sconosciuti: Marek Hamsik ed Ezequiel Lavezzi.

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Potrete solo immaginare l’accoglienza a questi due poveri ragazzini: contestazione, dura contestazione alle porte di Castelvolturno.

Comunque noi, oggi, vorremmo concentrare la nostra attenzione sul calciatore argentino: ‘El Pocho’.

Arrivò a Napoli con una capigliatura a dir poco singolare, un capello lungo e piuttosto ‘umido’, un mix tra Marzullo e Sgarbi; una polo ed un bermuda chiaro, con tanto di borsello da spalla (quella chicca che tanto piace alle donne!).

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Ma la peculiarità più importante di Lavezzi era una, e fu subito evidente ai tanti tifosi napoletani arrivati lì il giorno della sua presentazione. “Uagliù, ma chist è chiatt!”: queste erano le voci insistenti che si fecero forti nella folla.

Effettivamente, Ezequiel non si presentò propriamente in forma e fu così che raccolse il suo primo soprannome, proprio quel giorno: Pino la Lavatrice (comico famoso all’epoca, il quale era effettivamente molto simile al calciatore argentino).

Il curriculum del ‘Pocho’ era il seguente: Lavezzi entrò a far parte delle giovanili del Coronel Aguirre, a soli 12 anni; dopo tre anni tenne un provino alla Fermana, in Italia dove, però, venne scartato. Dovette far ritorno presto in Argentina, al Boca Juniors ma, anche qui, l’esperienza fu breve ed infelice.

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Per un periodo addirittura abbandonò il calcio per lavorare come elettricista e la sua famiglia rimase in condizioni di indigenza economica. Successivamente però riuscì a superare un provino nell’Estudiantes e potette addirittura esordire, a soli 17 anni, in prima squadra.

Nella terza serie argentina, nella seconda squadra dell’Estudiantes, Ezequiel Lavezzi esplose, realizzando 17 gol in 39 partite, che lo lanciarono definitivamente nel grande calcio.

Il 1° agosto 2004, Lavezzi attirò le attenzioni del Genoa, che decise di acquistarlo per un milione di euro, ma la società del capoluogo ligure decise di lasciarlo in prestito al San Lorenzo così che il folletto potesse crescere; nella squadra argentina siglò 9 reti in 29 presenze. Era pronto.

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Nel 2005, allora, Lavezzi fece ritorno in Liguria, ma un illecito sportivo relegò il Genoa in C e lui chiese alla società di lasciarlo ripartire per l’Argentina, ancora al San Lorenzo per un milione e duecento mila euro.

Con la maglia del club di Buenos Aires, Lavezzi vinse il campionato di Clausura 2007 e andò via da protagonista: Marino lo volle al Napoli appena promosso in serie A. Ecco la nuova grande occasione per il Pocho.

Nonostante i presupposti, come detto, non fossero propriamente dei migliori, quello tra Lavezzi ed il Napoli fu un vero e proprio colpo di fulmine.

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Dopo qualche scampolo contro il Cesena (esordio ufficiale di qualche minuto) fu il 18 Agosto 2007 che il Pocho si presentò ufficialmente ai suoi nuovi tifosi. Partita di coppa Italia Napoli – Pisa allo stadio San Paolo; un caldo infernale e, dopo 45 minuti, azzurri sotto di 1 a 0 contro una squadra neopromossa in Serie B. Fischi per la squadra di Reja.

Il mister friulano, allora, decise che alla sua squadra, davanti, serviva un cambio di passo e, per questo, inserì l’argentino tracagnotto (che, intanto, non giocava proprio perché in sovrappeso). Così entrò Lavezzi, tra lo scetticismo generale, con la maglia numero 7 sulle spalle, l’evidenza delle sue curve spropositate per un calciatore professionista ed il suo immancabile taglio di capelli.

Beh, il resto è già storia: scatti, dribbling ubriacanti, filtranti precisi, e goal (ben 3 in una sola partita e neanche dal primo minuto). Il San Paolo crollò dal tripudio. Giovani che si stropicciavano gli occhi e meno giovani che, commossi, rivedevano nello scugnizzo numero 7 l’immagine di un altro argentino: Diego Armando Maradona.

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Allora i tifosi napoletani cominciarono a capire perché il suo soprannome fosse “El Pocho” (il fulmine). Era imprendibile quando muoveva quelle gambe e, con quel suo baricentro, strano e non proprio equilibrato, diventava davvero fulmineo.

Anche se lui, qualche tempo dopo, ci tenne a precisare «Mi chiamano El Pocho, ma non significa fulmine: è un vezzeggiativo affettuoso, adoperato da molti argentini. Mi piace come soprannome, quindi non chiamatemi El Loco».

Poi, in una successiva intervista finalmente rivelò l’origine del suo nickname Pocho: «Quando ero bambino avevo un cane che si chiamava Pocholo. Quando se ne andò, mio fratello ed il suo migliore amico cominciarono a chiamarmi con quel nome perché rompevo le scatole proprio come lui. Da quel momento la gente della mia città, Villa Gobernador Gálvez, cominciò a chiamarmi Pocholo, finché in Nazionale Under-20 incontrai un vecchio compagno della mia stessa città che, conoscendo il mio soprannome, cominciò a chiamarmi Pocholo davanti a tutti i compagni. I ragazzi dello spogliatoio abbreviarono Pocholo in Pocho e da quel momento questo è il mio nome, il mio marchio

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Pocho, Pocholo, Loco, chiamatelo come volete. Quello che è certo è che Lavezzi entrò nel cuore dei napoletani in maniera indissolubile ed il suo ricordo evoca ancora bei pensieri ai partenopei.

Il suo viso, il suo modo di ridere, la maniera in cui entrava in campo, come si vestiva, come parlava: Ezequiel era napoletano da tutti i punti di vista. Ezequiel rappresentava, anche tecnicamente, il classico calciatore che fa infiammare maledettamente il popolo napoletano, grazie alle sue qualità e ai suoi piedi.

Fece prima da spalla a Zalayeta, poi a Denis, a Quagliarella ed infine a Cavani; tutti questi bomber riuscirono a fare bene in maglia azzurra, anche e soprattutto, grazie al Pocho.

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Era bello ascoltare il rumore di sottofondo del San Paolo quando Lavezzi prendeva palla dalla sua metà campo e, grazie alla sua velocità e ai suoi dribbling (non certo stilisticamente perfetti), la trascinava fino all’aria avversaria.

Un difensore, nel momento in cui il Pocho lo puntava, sapeva bene cosa fare: o rimanere inerme o provare a falciarlo. Non esistevano altre soluzioni.

Ezequiel aiutava il Napoli a crescere e viceversa. Arrivato al primo anno di Serie A dei partenopei, vi rimase fino al primo anno in Champions, quando la banda di Walter Mazzarri riuscì a mietere vittime illustri, quali il Man City, il Villareal, fino ad arrivare all’epico ottavo di finale contro il Chelsea.

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Quella fu una partita storica per il Napoli e per Lavezzi che, nel 3-1 dell’andata, realizzò una splendida doppietta (che non servì ad evitare l’esclusione dalla competizione a causa del 4-1 inflitto al ritorno ai napoletani).

Altrettanto storica fu l’esultanza del Pocho sul gol del 3-1. Una reazione rabbiosa accompagnata dall’abbraccio di Edinson Cavani e Marek Hamsik.

L’ultimo atto di Lavezzi in maglia azzurra fu a Roma, allo Stadio Olimpico, per la finale di Coppa Italia, contro i neocampioni d’Italia: la Juventus. La squadra di Conte non aveva mai perso in stagione ed era appena tornata a vincere un campionato dopo le ultime difficili stagioni.

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Durante l’inno pre-partita, il Pocho evitò l’abbraccio con Barzagli (difensore della Juve) scatenando cori di approvazione da parte del pubblico napoletano che però, in quell’ultimo mese, cominciò a sentirsi tradito da un Lavezzi sempre più vicino all’addio.

Non giocò una delle sue migliori partite ma è certo che, quella stessa sera, lasciò un segno indelebile nel suo cuore e in quello dei suoi tifosi. Al termine del match (terminato 2-0 per il Napoli), Ezequiel andò dritto sotto la curva gremita di tifosi partenopei, da solo, con la testa china. Arrivò sotto il settore napoletano, si tolse la maglia e, arrampicandosi sui cartelloni, cominciò ad urlare di gioia verso i suoi tifosi, più innamorati e sedotti che mai.

Quella fu un’istantanea che difficilmente un tifoso partenopeo potrà dimenticare. Lavezzi esultò con loro e per loro per un trofeo (il primo dell’era De Laurentiis) che mancava da parecchio tempo.

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Il numero 7 del primo Lavezzi ha rappresentato una svolta nel mondo calcistico partenopeo, un connubio di emozioni e di sentimenti che Napoli ed il Pocho non potranno mai dimenticare; il primo vero amore della storia recente del club napoletano.

E, parlando di Napoli, si sa come funziona! Lo dice anche la canzone: “Si stat ‘o primmo ammore e ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me”.

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