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UN CALCIO AL SUPERSANTOS – El bárbaro del fútbol: Paolo Guerrero

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Βάρβαρος (Barbaros): così gli antichi greci indicavano coloro i quali non condividevano le loro usanze e il loro pensiero. Gli antichi romani, di usanze diverse, vedevano invece nei barbari i nemici da sopraffare, in un mondo dove il conflitto rappresentava la normalità.

Ai nostri giorni, el Bárbaro è, però, uno ed uno soltanto: Paolo Guerrero.

Perché del soprannome? Paolo, attaccante peruviano, gioca con una tenacia, una grinta ed una determinazione come pochi eguali; sembra voler dichiarare guerra all’Universo intero – un po’ come Thanos, per intenderci; ed esattamente come il personaggio della Marvel, Guerrero sa come mietere vittime su vittime.

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Ma lo fa a suon di goal.

È così che il nostro eroe è cresciuto: a pane,  pallone e, perché no, anche un po’ di ‘delinquenza’, che non fa mai male.

A diciotto anni Guerrero ottiene la prima grande occasione della sua carriera: il Bayern Monaco lo porta in Germania. In Europa però sembrano, almeno inizialmente, non capire il suo sangue sudamericano. Con i bavaresi trova pochissime soddisfazioni, anche perché in attacco gioca un altro peruviano, abituato a segnare caterve di gol: Claudio Pizarro.

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Si trasferisce così ad Amburgo, per cercare una piazza che desse lui spazio e tranquillità. E proprio con i pantaloncini rossi comincia a dar fede alle aspettative poste in lui, facendo in campo ciò per cui era stato portato in Germania: i goal.

Il problema è che tra un goal e l’altro si accorgono anche del suo carattere piuttosto fumantino – per usare un eufemismo. All’uscita dal campo litiga con un tifoso, tirandogli contro una bottiglia d’acqua rigorosamente piena. “Tornatene in Perù”, gli aveva detto il – a posteriori – malcapitato. Nel 2012 attenta alla vita del portiere dello Stoccarda, Ulerich, entrandogli durissimo sulle gambe, a palla lontana, lontanissimo dalla porta. Morale della favola: otto turni di stop e rapporto con l’HSV decisamente compromesso. 

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L’Amburgo non ne può più di lui e Guerrero viene letteralmente cacciato. Approda in Brasile, al Corinthians, dove il Barbaro si toglie la soddisfazione di segnare il gol decisivo nella vittoria del Mondiale per Club contro il Chelsea.

Dopo l’esperienza con i bianconeri tre anni al Flamengo, mentre attualmente si trova tra le fila dell’Internacional di Porto Alegre.

 

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Ma è proprio nel suo periodo al Flamengo che Guerrero vive il momento più complicato della sua carriera; precisamente il 30 Novembre 2017, a meno di sette giorni dalla finale della Copa Sudamericana – che il suo Flamengo perderà contro l’Independiente – la FIFA annuncia di averlo sospeso “cautelativamente” per trenta giorni dopo una riscontrata positività all’antidoping, in seguito ad una partita contro l’Argentina.

L’accusa è una di quelle infamanti, davvero infamanti: assunzione di cocaina.

Il Barbaro si trova improvvisamente “nudo” di fronte agli attacchi dei media. E’ il Perù stesso a svelare l’ingenuità di uno staff medico a dir poco inqualificabile: prima del match Guerrero era stato colpito una brutta influenza; i dottori della Blanquirroja avevano deciso di curare la malattia con un metodo tutto peruviano: un tè fatto con foglie di cocaina, che nel paese non viene considerato doping, ma ovviamente contiene i metaboliti della coca ed è, invece, certamente “dopante” in tutto il resto del mondo.

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Guerrero prova a difendersi, ma non ci sarà nulla da fare: anche se prescritto da un medico, nel mondo intero il tè alla cocaina è doping e dal punto di vista legale equivale ad un’assunzione vera e propria.

La FIFA non può fare sconti: si creerebbe un precedente particolarmente scomodo. E nessuno vuole che accada.

Arriva la squalifica di un anno per il peruviano. Ciò significa una sola cosa: niente primo mondiale per el bárbaro, idolo di un intero popolo.

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“E dov’è il romanticismo?”, vi chiederete. Eccovi accontentati: il mondo intero si mobilita per aiutare Guerrero. I capitani di Francia, Danimarca e Australia, che giocheranno nei gironi mondiali proprio contro il Perù, si impegnano per far si che Paolo possa giocare il Mondiale in Russia.

Nel più classico dei film a lieto fine, a fine aprile, la FIFA annuncia la “sospensione” della squalifica. Guerrero torna a giocare col Flamengo a maggio, per poi essere nuovamente squalificato per otto mesi non appena finirà il Mondiale – nel frattempo il TAS aveva alzato la sospensione a 14 mesi; el bárbaro, però, vive il suo sogno Mondiale, giocando col Perù (che non andava ai Mondiali dal 1982) e segnando nella vittoria contro l’Australia. È in quel preciso momento che avviene la magia, l’emozione che solo il calcio può regalare.

Com’è che si dice? Sei bella come un gol al novantesimo! E allora mettetevi nei panni di un peruviano in quel preciso istante: quarto minuto della ripresa, il Perù era avanti per 1-0 (gol di Carrillo, su assist di Paolo), azione tambureggiante sulla sinistra, palla messa in area e…eccola! La magia del barbaro! “Goooooooool gol gol gol de Paolo” urlano i telecronisti peruviani.

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Sta tutta lì la poesia del fútbol, della storia della nazionale e del popolo Blanquirroja. Guerrero corre, palesemente commosso, sotto lo spicchio dei suoi tifosi, baciando l’Escudo del Perù, abbracciato dai suoi compagni e dalla sua gente. Signore e signori, a voi Paolo Guerrero: el bárbaro, “killer di difese”, volto da peggiori bar di Lima, fisico statuario e tanta voglia di portare il suo popolo il più in alto possibile.

 

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