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A(F)FONDO – Il calcio italiano nel pallone

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Il calcio italiano nel pallone

Anno 2019.
Il movimento calcistico italiano cerca riscatto: la fallimentare gestione di Tavecchio, condita da veleni ed inchieste, e la eliminazione dell’Italia di Ventura dai mondiali di Russia sono ancora negli occhi di tutti.
A fine 2018 è stato eletto Presidente della FIGC Gabriele Gravina, già Presidente della Lega Pro, con oltre il 97% dei voti: una maggioranza “bulgara”, con tutte o quasi le componenti del movimento (Leghe, Atleti, Tecnici ed AIA) compatte per una elezione che avrebbe dovuto dare la giusta discontinuità per ripartire.
Eppure, Nazionale a parte (e tuttavia Mancini fu nominato dal Commissario Straordinario Fabbricini), da quel giorno la FIGC, in tutte le sue componenti, è andata “nel pallone” e da Via Allegri non ne hanno più indovinata una.

La gestione della Pandemia ed il Sacro Protocollo

Diciamocelo pure: la Federazione, oltre che poco reattiva, è stata anche un pò sfortunata, suvvia.
Mentre la Nazionale navigava sotto ottimi auspici, ed i progressi politici in Europa del Presidente, di recente non a caso eletto nel Comitato Esecutivo UEFA con 53 voti su 55, lasciavano intravedere un piccolo Risorgimento per il calcio italiano, è arrivata la Pandemia.
Evento imprevisto ed imprevedibile, nell’immediato difficilmente governabile, è ovvio.
Ma poi sono passati i mesi, si è arrivati alle porte della nuova stagione.
La panacea di tutti i mali doveva essere, lo sappiamo, il Sacro Protocollo, su cui abbiamo ampiamente scritto.
Ma la evidente inadeguatezza delle contromisure adottate si è palesata quasi subito, in un susseguirsi di passi a vuoto che “Tavecchio, scansate!”.

Che seccatura queste ASL

Il Sacro Protocollo, dicevamo, avrebbe dovuto consentire al movimento di navigare tra i perigliosi flutti della Pandemia ed arrivare indenni in porto.
In porto lo zatterone ci è arrivato, ma perdendo pezzi a destra e manca e collezionando figuracce una via l’altra.
A partire dalla nota querelle sulla eventuale influenza delle Autorità di Pubblica Sanità sui campionati professionistici, conclusa con un provvedimento del Collegio di Garanzia dello Sport che ha sancito, ma tu guarda che roba, la prevalenza di principi di rango costituzionale sulla normativa sportiva.
Le successive modifiche e gli ulteriori accorgimenti adottati sono stati – ebbene sì, è possibile – anche peggio.

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La inchiesta sui “tamponi”

La bolla, i tamponi rapidi, gli obblighi di comunicazione: a Via Allegri, a un certo punto, sembravano aver trovato la quadra.
Ma qualcuno si dimentica un passaggio fondamentale: un po’ come per il doping, se affidi alle medesime società controllate libera scelta del “controllore”, senza individuare un unico laboratorio Federale autorizzato, il rischio di “problemi” diventa altissimo.
E lo diventa a maggior ragione se bisogna fare i conti con un mondo litigioso e rancoroso, in cui ogni componente bada al proprio piccolo orticello e se ne frega del resto.
La bolla esplode e si scatena, come del resto era prevedibile, il putiferio sui tamponi.
La vicenda è ancora di là dal chiudersi: l’udienza innanzi al Collegio di Garanzia è fissata per il 12 luglio prossimo e la giustizia ordinaria continua nel suo percorso.
Ferme le ovvie responsabilità personali, appare evidente che la vicenda è soprattutto figlia di scelte iniziali a dir poco discutibili.

La superfiguraccia della “Superlega”

Da tempo immemore si parlava, ai massimi livelli e soprattutto da parte dei club europei finanziariamente più esposti, della opportunità di riorganizzare il calcio nel Vecchio Continente e di prevedere nuovi modelli di redistribuzione, per evitare un collasso sistemico.
La ECA (European Club Association) nasceva, già nel lontano 2008, proprio come una sorta di “think tank” nell’alveo del quale sviluppare nuove strategie.
Ma il calcio muove interessi giganteschi; paradossalmente gli interessi giganteschi stimolano in Italia, ma anche in Europa, la ricerca del “particulare” di guicciardiniana memoria, piuttosto che dell’universale.
Ragionare di sistema, come dovrebbe farsi, è impresa quasi impossibile.
Risultato: il 19 aprile scorso si accende un teatrino indecoroso, purtroppo ben noto, con i massimi organi del nostro calcio inerti, fermi alla finestra della loro ignavia.
Ancora risposte inadeguate, ancora silenzi imbarazzati ed imbarazzanti, ancora figuracce per il nostro movimento calcistico e per quello europeo.
Ma non finisce qui.

La multiproprietà: il caos Salernitana

Già da diversi lustri è stato introdotto, in applicazione peraltro dell’art. 7 dello Statuto Federale FIGC, il noto art. 16bis NOIF (Norme Organizzative Interne della FIGC).
La norma vieta la possibilità che un medesimo soggetto, ovvero suoi parenti o affini entro il quarto grado, in maniera diretta o indiretta controllino due diverse società sportive professionistiche.
La norma ha subito tantissimi rimaneggiamenti nel tempo, ed i divieti in essa contenuti hanno già scontato numerosissime proroghe.
Nel corso dell’ultimo anno la Federazione sembrava voler finalmente mettere un punto alle proroghe, vista la sempre più concreta possibilità che la Salernitana, club ricollegabile al figlio ed al cognato del patron della Lazio, Claudio Lotito, fosse promossa in Serie A.
L’ignavia, tuttavia, ha di nuovo prevalso: “metti che non raggiunge la promozione, ci risparmiamo un problema, per ora” avranno pensato i potenti del calcio.
E invece la Dea Eupalla ci ha messo lo zampino, e la Salernitana ha conquistato, contro ogni pronostico, la promozione in Serie A.
Risoluzione definitiva del “problema”? Macché!
Altro indecoroso teatrino, che si concluderà nei prossimi mesi con un risultato che, ne siamo certi, darà l’ennesimo colpo alla già quasi inesistente credibilità dell’intero movimento.

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Dulcis in fundo: inginocchiati tu che mi vien da ridere

Il rendimento della Nazionale italiana nel Campionato Europeo differito causa Covid si apprestava ad essere l’unica nota positiva in due anni da dimenticare.
E invece che fai, non la metti la ciliegina sulla torta?
Le circostanze sono note, ognuno può avere la sua idea.
Il comunicato più recente della FIGC, che lascia agli azzurri libertà di scelta sull’inginocchiarsi o meno durante gli inni era pressochè dovuto.
Ma le dichiarazioni del capitano Chiellini, prima, e del responsabile della comunicazione Corbi, poi, sono la ennesima testimonianza dello stato confusionale di un intero movimento.
Poco male, ci rifaremo, c’è tempo, tanto noi siamo l’Italia.
Ma il tempo sta scadendo, ed i tifosi, le vere vittime, cominciano a stancarsi.

 

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