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UN CALCIO AL SUPERSANTOS – Ma quanto è forte Zlatan?

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Lo so cosa state pensando: “Ma cosa c’è di romantico in Ibra?”. Beh, vi dico la verità, ogni volta che vedo Zlatan toccare il pallone io mi innamoro. E se non è romanticismo questo…

La sua storia calcistica e di vita comincia così: “Io non sono cresciuto avendo la vita facile, molti se lo dimenticano. Non sono un talento che è semplicemente volato in Europa a passo di danza, io ho lottato controvento. Genitori e allenatori mi sono stati contro fin dal primo momento, e molto di ciò che ho imparato l’ho imparato ignorando quello che dicevano gli altri”.

Quando la vita ti dà un gancio destro tu puoi fare solo due cose: puoi mollare, soccombendo al destino infame e condannarti ad una esistenza di sofferenza senza alcuna reazione; o si può rispondere, colpo su colpo, aggrappandoti alle belle cose, poche, che la vita ti dona.

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E su quel dono, su quel grande talento, occorre costruire una corazza inossidabile, che ci permetta di guardare il mondo, quel mondo che tanto ci è stato ostile, dall’alto verso il basso. Facendo credere al mondo intero che nessun gigante potrà mai essere tanto forte da buttarci a terra.

Se poi il gigante è un ragazzo nato da padre bosniaco e mamma croata e il dono ricevuto dalla vita è quello di saper parlare in maniera meravigliosa il linguaggio del calcio, la storia è inevitabilmente quella di uno dei giocatori più forti ad aver mai calcato il prato verde nell’ultimo decennio.

E’ la storia di Zlatan Ibrahimovic.

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Questo ragazzo certamente non ha avuto un’infanzia semplice. Non era visto di buon occhio nella sua città, precisamente Malmo. Era un tipo abbastanza turbolento, considerando anche la sua famiglia.

Una famiglia non certo convenzionale: mai una parola gentile, mai una prova d’affetto. Una famiglia dove alla Vigilia di Natale era più facile scambiarsi schiaffi piuttosto che regali.

Ma a Zlatan tutto questo non importa. E proprio questa sarà la sua forza. Andare avanti, sempre per la sua strada, senza mai cambiare. Anche a costo di attirarsi addosso parole, critiche, insulti. No, la forza di Zlatan è essere Zlatan. E di rimanere Zlatan. Sempre e comunque.

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 “Mi hanno chiesto spesso, ovviamente, che cosa avrei fatto se non fossi diventato un calciatore. Non ne ho la più pallida idea. Forse sarei diventato un criminale. Io e i miei amici del quartiere combinavamo parecchie cazzate”.

 Anche nella civilissima Svezia esistono luoghi che sarebbe meglio evitare, come ad esempio Rosengard, primo quartiere islamico d’Europa. Un luogo pieno zeppo delle più svariate etnie, sempre pronto ad esplodere a causa delle varie tensioni. Ed è proprio lì che Ibra è nato e cresciuto.

Ed era lì che il bomber ha imparato a cavarsela in qualsiasi situazione; è sulla strada che Zlatan impara i colpi di kung fu, che tanto gli piacciono, le giocate imprevedibili, i dribbling nello stretto.

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Zlatan corre per scappare dai problemi e dai brutti pensieri. Corre perchè per lui è l’unico modo per salvarsi. Corre, perchè a Rosengård stare fermi è pericoloso. Ma ad un certo punto, arriva anche il momento di “giocare” seriamente; su un prato fatto d’erbetta e porte vere.

Il talento c’è, ma va assolutamente disciplinato. Ecco, questo si che era un bel problema. 

“Lavoravo come un mulo, e non mi accontentavo degli allenamenti con il Malmö. Giocavo anche nel campetto vicino casa della mamma, ora dopo ora. E poi in strada. Uscivo per Rosengård e gridavo ai ragazzini: “Vi do dieci corone se riuscite a fregarmi la palla!”, e non era solamente un gioco: serviva ad affinare la mia tecnica, a migliorarmi nella protezione del pallone con il corpo”.

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La regola per Zlatan è che a volte devi infrangere le regole: è solo allora che evolvi. Che cosa ne è stato dei bravi ragazzi del Malmö sempre così tranquilli? Si scrivono forse libri, su di loro?

Sarà per questo, sarà per il suo carattere pronto a qualsiasi avversità, che gli basta poco per prendersi ogni squadra in cui giochi. Che sia il Balkan, il Malmö, l’Ajax, la Juventus, l’Inter, il Milan, il PSG, poco importa.

Esiste, però, durante la sua stupenda carriera, un piccolo rimpianto e si chiama Barcelona, dove non poteva essere il vero Zlatan, dove la maglia blaugrana aveva preso inevitabilmente il sopravvento anche sull’uomo.

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Zlatan ha imparato a sue spese che il Barcelona, forse, non poteva prenderselo. L’ha imparato a suon di litigi con Guardiola, di panchine, di vittorie vissute da comprimario. Lui che il comprimario mai ha voluto farlo.

E poi, è realmente sbocciato. Il ragazzino talentuoso, Zlatan Ibrahimovic, si è trasformato in trascinatore. In uomo capace di prendersi sulle spalle una squadra intera e portarla da solo alla vittoria.

Quel momento in cui Zlatan, il ragazzo che accendeva e spegneva il motore della fantasia con giocate da paura, è diventato una macchina da goal. Un attaccante su cui poter contare, sempre e comunque.

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Uno che spaventa le difese con la forza del pensiero. E’ come se fosse scattato qualcosa in quegli occhi profondi come una notte scura di Rosengård. Non si sa se sia successo alla Juventus, con Fabio Capello. Uno degli allenatori a cui Ibra ha sempre detto di essere più grato.

O all’Inter, con lo spogliatoio spaccato tra argentini e brasiliani e la necessità di prendere in mano il gruppo. O al Milan, con una squadra che aspettava di tornare grande da sette anni ma soffriva la rivalità dei nerazzurri che avevano vinto tutto.

Semplicemente, è successo. Zlatan Ibrahimovic è diventato grande, è diventato leader.

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Se sei bravo, ottieni fischi e insulti. E’ così che funziona”. Forse è successo quando ha imparato a caricarsi con tutto quello che gli riversano addosso. Come i fischi degli avversari.

I fischi che riceve ogni volta che tocca palla. Fischi di paura, perchè è proprio paura la prima parola che ti viene in mente quando Ibra prende palla in una qualsiasi zona del campo.

Perchè non sai mai quando ti colpirà. E il fatto che magari sia spalle alla porta a 30 metri dalla stessa non può farti sentire al sicuro. Perchè basta un attimo e Ibra si può inventare un colpo di kung fu, una rovesciata, un colpo di tacco.

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E in men che non si dica, ti ritrovi il pallone in fondo al sacco. Reinventa, ogni volta, regole che qualche istante prima non esistevano.

Ho fatto stronzate di ogni genere, è vero, ma difficilmente comincio io, anche se in campo qualche testata mi è capitato di darla. Però quando mi arrabbio, lo ammetto, non ci vedo più ed è meglio starmi alla larga”.

Certo, ogni tanto il caratteraccio viene fuori anche in campo. Ma è un agonismo che solo i vincenti sanno tirare fuori.

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C’è però un rimpianto in questa storia. Un cerchio ancora aperto, che probabilmente non si chiuderà mai. Un’ossessione. Una di quelle rivincite che a Zlatan piacerebbe tanto prendersi.

E’ una Coppa, quella dalle grandi orecchie. E’ una Coppa che non è mai riuscito nemmeno a sfiorare. E’ il suo sogno, ma anche il suo incubo. E’ il motivo per cui ha lasciato l’Inter, per andare a vestire il blaugrana del Barcelona.

Zlatan resterai sempre uno dei miti assoluti di questo sport. Ma soprattutto, permettetemelo, resterai sempre un grande sogno per me: un sogno romantico.

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